Ieri, mentre conversavo con una mia amica, la discussione ha virato, casualmente, verso argomenti molto simili a quelli contenuti in un mio vecchio post

sensazionalismo (2025-02-15)

Per venire incontro alle mutate capacità di concentrazione, li riassumerò brevemente con: "è fallace affermare che sia vero ciò che si crede vero: tale convinzione irrazionale promuove altre convinzioni irrazionali, l'irrazionalismo produce dogmatismo e il dogmatismo fanatismo".

Dal punto di vista puramente ideale, mi pare che la logica del discorso illustrato nel post summenzionato stia ancora perfettamente in piedi ma — e qui mi ha aiutato la mia amica (ritengo inconsapevolmente perché non credo che possa leggere nel pensiero! 😀) —, quale dovrebbe essere l'atteggiamento di una società nei confronti dei convincimenti irrazionali?

La risposta penso sia abbastanza scontata per voi (come lo è per me) e si potrebbe riassumere in: "qualunque convinzione irrazionale è tollerata fino a quando la sua influenza negativa (diretta o indiretta!) è tollerabile.

Una processione all'anno è folklore, una al giorno è tortura.

Dunque, se ne può dedurre che qualunque convinzione irrazionale debba essere oggetto di una discussione (e una decisione) politica, nessuna esclusa.

Nello specifico ieri siamo arrivati a questo argomento: nessuno, che non abbia talune convinzioni irrazionali, credo possa pensare che il fatto di considerarsi di un genere non coincidente col proprio sesso biologico possa procurare nocumento ad alcuno¹, ritengo anche che valga lo stesso per il manifestare tale non allineamento pubblicamente con atteggiamenti, vestiti, addobbi, modifiche corporee o altre libere manifestazioni del proprio pensiero. Affermare questo non è in contraddizione con l'affermare che non si può sostenere ciò che si crede vero lo sia. Semplicemente possiamo, come società, tollerare (e in qualche misura, auspico, anche incoraggiare perché socialmente utile) questo tipo di condizioni indipendentemente dalla loro origine, natura e caratteristiche.

Diverso è il discorso se — e quale — riconoscimento legale si debba attribuire a tali realtà. A me appare abbastanza ovvio che l'idea che: "una donna/uomo sia chi si riconosce tale" sia un criterio dannoso (oltre che una definizione problematica, a voler essere generosi). Per esempio se avesse una controparte normativa, tale definizione (visto che fino ad adesso le donne vanno in pensione prima degli uomini²), provocherebbe il fallimento dell'INPS in tempi brevissimi!

D'altronde mi parrebbe incredibile che non fosse considerata legalmente donna (o uomo) chi avesse completato un processo di transizione e, direi, anche chi lo stesse portando avanti.

Chi stabilisce il confine dunque? la risposta mia è, come dicevo: solo la politica può stabilirlo. Abbiamo inventato criteri (arbitrari) di demarcazione (o meglio, abbiamo attribuito valori maggiori di uno a rapporti costi benefici) su questioni sociali ben più complicate di questa.

Eventualmente, basta solo che non sia obbligatorio usare la cera depilatoria! 😀

Ciao!

C.

¹ ma che ritengo, entro centri limiti molto stretti, una convinzione tollerabile

² chi sarà così fortunato da arrivarci alla pensione!

PS: l'articolo è stato modificato il 2025-05-04 per correggere una frase costruita in maniera infelicemente fuorviante

#riflessioni irrazionalità
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