Confessione di un Commissario di Polizia al Procuratore della Repubblica

Damiano Damiani

1971 colore 101'

Il giovane ed idealista sostituto procuratore Traini si trova a dover indagare su un fallito attentato nei confronti di Lomunno, imprenditore edile che, negli anni, ha intessuto una serie di rapporti di affari con personalità politiche e malavitose.

L'attentato, fallito perché lomunno non era presente, ha - però- lasciato diversi morti per terra e tra questi anche il killer: Michele Li Puma. Il sospetto è che il Li puma abbia tentato di vendicarsi di Lomunno perché intratteneva una relazione sentimentale con la sorella di li puma.

Le indagini di traini sono sostenute operativamente dal commissario Bonavia, ma traini comincia a sospettare che bonavia sappia più di quanto voglia dare a credere, dato che l'avvocato di lomunno sostiene che la soffiata su dove si trovasse il suo assistito sia stata data al killer proprio da ambienti della questura; inoltre scopre che li puma era stato rilasciato, due giorni prima dell'attentato, dal manicomio dove era stato rinchiuso su proposta della sorella e - infine- che proprio il commissario bonavia aveva visitato il manicomio poco prima che il li puma venisse liberato. Se avesse, dunque, ragione lo munno sulla natura del mandante dell'attentato?

Una volta ho letto, chissà dove, che i pianisti jazz usano poco la mano sinistra. In questo modo -come era scritto- gli altri musicisti possono improvvisare sugli accordi senza che se li sentano cacciati in gola dal pianoforte.

Ci sono stati una serie di cineasti italiani che, più spesso che no, sono riusciti a fare come i pianisti jazz, sono riusciti a parlare di cose serissime (la mafia, la malapolitica, il terrorismo, la guerra) ammantando questi temi all'interno del genere, in modo tale che lo spettatore si ritrovi a riflettere su questi argomenti senza che gli stessi gli siano cacciati in gola. Esempi principe sono stati Pontecorvo e Rosi, ma non sono stati da meno altri come Aldo Lado o fernando di leo. Ma personalmente, un gradino sopra questi ultimi si piazzo proprio Damiano Damiani e ne è esempio questa pellicola. Oltre -infatti- a essere un ragionamento circostanziato e rigoroso sull'intreccio tra mafia, politica e finanza (vengono citati, Rizzotto, le misteriose morti per avvelenamento nelle carceri, la speculazione edilizia) il film non solo sviluppa una trama da poliziesco che non molla la presa dall'inizio alla (deprimente) conclusione, ma definisce anche alcuni stilemi che si concretizzeranno in un sottogenere del poliziesco all'italiana, compare infatti come coprotagonista -forse per la prima volta (ma aspetto smentite da chi possiede una conoscenza cinematografica superiore alla mia, non e' difficile!)- la figura del commissario che viola la legge per ottenere giustizia e il tema della legge non impotente, ma complice (non una prospettiva destrorsa, quindi) di fronte al malaffare. Non solo, dunque, il film sfrutterà il genere ma contribuirà nel suo piccolo a ridefinirlo!

Inoltre in questi giorni -ossessionato dal lavoro del regista- ho visionato un po' dei suoi film è mi chiedevo, fra me e me, come i personaggi dei suoi film potessero sembrare così reali, la risposta che mi sono dato è che la sceneggiatura rende le azioni dei personaggi sempre "comprensibili", nel senso che le azioni dei personaggi sono sempre mosse da pulsioni o ragionamenti verosimili, insomma fanno quello che probabilmente faremmo anche noi nelle loro condizioni e non fanno nulla che non sia dettato da una loro spiegabile volonta o -più spesso- dalla contingenza delle situazioni.

In tutta onestà non riesco a trovare eredi di tutti gli autori che ho citato tra quelli tutt'ora in attività (a parte Bellocchio, che comunque ha ottant'anni e quindi non è erede di quella generazione, ma casomai esponente. E comunque se anche dovesse arrivare a 100 -cosa che gli auguro- sarebbe comunque più giovane dei colleghi con un terzo della sua età).

#recensioni
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